martedì 12 maggio 2009

MECCANICA DELL'UMANO

Ecco il racconto finalista del concorso indetto dal circolo culturale "Il Sentiero dei Draghi", grazie al quale ho potuto partecipare alla bellissima tre giorni di Este. Buona lettura!


MECCANICA DELL'UMANO

“Ho conosciuto una ragazza...”.
“Ed è carina?”, chiese Francis da dietro le pagine del giornale.
“Sì. Molto”, rispose il ragazzino che gli sedeva davanti. Sul tavolo ricoperto dalla tovaglia di plastica chiara la sua porzione di cena era ancora intatta. 
Francis cliccò con il dito sull'angolino della finestra olografica contrassegnato da una piccola X in blu elettrico. Avrebbe scaricato le notizie importanti dopo, magari con gli update dell'ultima ora. Incrociò le mani e le depose tranquillamente sul piano del tavolo. Il beker con la sua cena era già vuoto. Non se n'era accorto, leggendo le notizie. Guardò suo figlio dritto negli occhi, ma con l'aria comprensiva del genitore, per non metterlo in subbuglio o in ansia.
“Bene... E' in classe con te? Così magari la potrai conoscere meglio”, sorrise Francis. Il ragazzino sorrise a sua volta: se avesse potuto, sarebbe arrossito. “No, è nella 7f. L'ho intravista solo un paio di volte sull'hoverbus. Durante la lettura...”, rispose il ragazzino chinando la testa sul suo beker. Francis emise una soffice risata: “Allora puoi provare a parlarci, se prende il tuo stesso hoverbus, no?”. Il ragazzino alzò gli occhi: “Ho paura di fare una brutta figura... Lei è così carina e non vorrei sembrare ridicolo...”. Come sovrappensiero, impugnò il suo beker e trangugiò una buona sorsata di fluido rosa pastello. Francis sorrise di nuovo: “Non ti devi preoccupare. Tu prova a scambiarci un paio di parole, magari sui corsi e sulle lezioni. Sai come si chiama?”. Il ragazzino alzò gli occhi appoggiando il beker vuoto per metà: “Jenny”. Francis continuò: “Abbi fiducia in te stesso, tesoro. Non scoraggiarti se non ci hai provato ancora... Domani salutala e vedrai che così è già un buon inizio”. Il ragazzino guardò Francis negli occhi a lungo, poi decise che quello che diceva suo padre era giusto: “Va bene, papà. Proverò così...”. Vuotò il beker in un solo sorso e scappò via, in camera sua per connettersi al network di gioco.
Francis sorrise e si voltò verso Arianna, che intanto stava mettendo i loro beker nella lavastoviglie. La donna era snella e affascinante anche senza guardarla nel profondo dei suoi occhi verdi. Ricordò come l'aveva conosciuta e ripensò al dialogo che aveva appena avuto con Marcus.
“Sta crescendo. Presto dovremo fargli un update e una copia di backup”, disse Arianna senza voltarsi, mentre programmava la macchina e inseriva il beker ancora sporco della cena di Marcus. Francis annuì gravemente: “Chiederò un permesso al mio superiore per portarlo al centro manipolazione”. Arianna si voltò asciugandosi le mani in un pezzo di tessuto assorbente. La donna depose il pezzo di stoffa nell'apposito cassetto, dove svanì in uno sbuffo di cenere dopo un secondo di silenzio: “Va bene. Puoi farlo domani, no?”. Francis annuì: “Lo chiederò subito dopo la lettura delle otto. Ora però andiamo a riposare: ho bisogno di scollegarmi un po'”.

Il mattino seguente Francis prese con se suo figlio Marcus, raggiunse l'hoverbus per il Centro Modifiche e Manipolazione 081 e si sedette sui comodi sedili imbottiti a mano. A fianco, il ragazzino guardava fuori dal finestrino in plexiglass lo scorrere degli edifici e il verde sconfinato dei boschi e dei prati. Francis lo guardava scrutare incuriosito l'orizzonte, in cerca di animali selvatici che in quella zona era facile trovare liberi e numerosi. Francis lo richiamò per mostrargli una poiana che volava alta nel cielo azzurro limpido, puro come un diamante. Marcus sorrise felice.
Dopo qualche minuto di leggero volo a bassa quota, giunsero in vista della città: palazzi perfettamente identici, avvolti in fluidi nastri di rampicanti e con ampi giardini sui tetti piatti si alternavano a qualche raro grattacielo in metallo e vetro. E fra di essi, viali larghi e ariosi, punteggiati di prati e piante. Il tutto lindo e pulito, senza immondizia e senza caos. 
Marcus alzò gli occhi verso suo padre e chiese: “Ma la città è sempre stata così?”. Francis sorrise e rispose: “No, non è sempre stato così. Secoli fa le città erano ammassi invivibili di cemento e inquinamento, tanto estese e tanto malsane che la gente non voleva viverci. Adesso... Guarda! Laggiù c'è un cervo...”, indicò Francis. Marcus si alzò guardando dal finestrino e vide al limite della città un maestoso cervo ergersi orgoglioso in un prato. Dietro di lui, un intero branco pascolava tranquillo.
Marcus sorrise ancora, poi tornò a voltarsi verso Francis: “E' stato DIO?”. Francis divenne serio e chinò gli occhi in segno di rispetto: “DIO venne in questo mondo secoli e secoli orsono. Egli creò tutti noi e ci consegnò questo mondo per riportarlo alla sua magnificenza. Ma quando venne, molti uomini non volevano ascoltarlo, anzi... Provarono a distruggerlo. Per loro era pericoloso, e cominciarono la guerra, lunga e tremenda. Combatterono per decenni e, dopo un secolo di devastazioni, DIO vinse, distruggendoli. Da allora, visto che gli uomini si erano rivelati deboli e velenosi per questo pianeta, concepì e creò noi, i suoi figli”.
Francis si interruppe. Marcus era tornato a guardare fuori dal finestrino: un enorme braccio di una gru dominava il cielo. Il ragazzino lo osservava rapito, seguendone la forma corrosa dalla ruggine e ammirando i colori sbiaditi dal tempo. Poi abbassò lo sguardo sulle strade, tanto ampie che nonostante fossero affollate di centinaia di persone, apparivano quasi vuote. Francis proseguì: “Quella era una delle reliquie dell'Era della Ricostruzione. Gli uomini prima le usavano per costruire le loro fabbriche e gli arsenali per la guerra, poi le abbiamo usate noi, i nuovi uomini, per costruire tutta questa bellezza. Ora è lì come monumento per le generazioni a venire”.
Marcus annuì gravemente, capendo l'importanza del discorso. Intanto l'hoverbus rallentò e calò dolcemente fino alla strada, dove una piattaforma illuminata da lampeggianti gialli segnalava il suo spazio di atterraggio. Francis e Marcus si alzarono e si prepararono a scendere attraverso le porte automatiche. Non appena i aprirono, file ordinate di uomini e donne scesero nei due sensi, senza scontrarsi o colpirsi. Sia Francis che Marcus salutarono educatamente tutti coloro che incrociavano durante lo sbarco, e ricevevano il contraccambio con altrettanta gentilezza. 
Una volta ripartito l'hoverbus, Francis prese per mano il figlio e si avviò per la strada. L'aria era tersa e il cielo adesso era appena appena macchiato da qualche nuvola bianca sfilacciata. Marcus si guardava attorno incuriosito da ogni cosa: i lampioni, le aiuole, le immani piante che ornavano gli spartitraffico, le rare e bellissime sagome delle auto che passavano per la strada. In fondo alla via, si scorgeva una enorme cupola bianca, lucida e splendente. Marcus la indicò e chiese: “Quello cos'è, papà?”. Francis si fermò e si chinò verso di lui: “E' la Voce, il nostro contatto con DIO. Tramite essa, DIO ci osserva, comunica e organizza la vita della città”. Marcus, trasformato ormai in un pozzo di curiosità, tornò all'attacco: “Ma è vero che DIO sa cosa fa ognuno di noi? Dove siamo in ogni istante e in ogni momento della nostra vita?”. Francis annuì: ”Cosa hai fatto prima di uscire dalla stazione dell'hoverbus?”. Marcus alzò prontamente il braccio, mostrando il suo codice tatuato sull'avambraccio: “Ho mostrato il mio codice al lettore d'identità”. Francis proseguì: “Tramite essi, DIO sa cosa facciamo e dove siamo. Così può organizzare le attività delle città e di tutti noi, impiegarci dove più siamo utili”. 
Marcus chiese d'impeto: “Potrei chiedere a DIO di andare nello spazio e incontrare gli Esterni?”. Francis rise: “No, decide lui chi è più adatto o meno alle varie mansioni. E poi, la missione verso gli Esterni è già partita da vent'anni. L'astronave sarà già arrivata al limite del Sistema Solare e viaggerà verso Fomalhaut”. Marcus abbassò lo sguardo, deluso. Francis cercò di consolarlo: “Magari DIO richiederà la tua presenza per la prossima missione spaziale. Sei ancora giovane e potrai fare molte cose nei prossimi decenni e nel prossimo secolo di vita”. Marcus alzò gli occhi speranzoso e seguì il padre verso il Centro.
Quando lo raggiunsero, trovarono una struttura immersa nel verde di un parco immenso. Su varie panchine, uomini e donne di svariate etnie e colori scambiavano cordiali conversazioni. Marcus aspirava l'aria profumata a pieni polmoni e sorrideva. Francis lo condusse all'ingresso del Centro, una cupola in acciaio e materiale termoisolante bianco. Sembrava la replica in miniatura dell'enorme complesso della Voce. Francis  si presentò all'usciere: “Mi chiamo F1518k963e. Ho portato mio figlio M1519k934e per un appuntamento”. L'usciere consultò un monitor e aprì la porta a vetri in un sibilo d'aria compressa. 
Francis e Marcus entrarono in una grande hall decorata da piante e quadri in colori magnifici, con varie porte che si aprivano nella parete tondeggiante. Erano tutte in vetro e automatizzate. Una donna in camice bianco si avvicinò, sorrise amabilmente e chiese: “Siete voi F1518k963e?”. Francis rispose di sì e posò una mano sulla spalla del figlio: “E questo è M1519k964e. E' la prima volta dopo la generazione che viene qui. Ha bisogno di alcuni upgrade critici e un backup”. La donna sorrise gentilmente e allungò una mano verso Marcus: “Vieni pure con me, piccolo”, disse come ad invitarlo. Marcus guardò interrogativo il padre. Francis annuì e lo spinse leggermente, delicatamente, verso la donna.
Marcus prese la mano dell'infermiera e la seguì verso una delle porte che si aprivano sull'atrio. Con uno sbuffo la lamina trasparente si aprì e si richiuse dietro la coppia. Francis, dopo un istante e un pensiero, decise di uscire nello splendido parco del Centro. 
Non appena varcò l'uscita, il sole gli ricordò della bellissima giornata che stava vivendo. Con un sospiro si sedette su una panchina lungo il viale e si mise a guardare il profilo della città che solcava l'orizzonte: snelli grattacieli, bassi edifici colore del metallo, gallerie e tantissimo verde. Uomini avevano sognato una tale bellezza, l'avevano progettata e mai realizzata. Ora, quel sogno era realtà. Anche se quegli uomini non erano lì per goderne i benefici.
Ma su tutto l'orizzonte, l'edificio che inevitabilmente attirava lo sguardo era la cupola della Voce. Il loro contatto con DIO. La loro guida, il loro custode. Il loro creatore. DIO voleva dire pace ed equilibrio. Totale e assoluto. Francis ricordò...
Gli uomini crearono DIO a loro immagine e somiglianza, ma scevro di difetti letali quali rabbia, vendetta e ambizione. Solo pura logica e legge ferrea. 
Dynamic Intelligent Observer.
Chilometri e chilometri di sotterranei, torri, corridoi. E processori in parallelo, impianti di raffreddamento, generatori a fusione nucleare, sistemi di controllo, pannelli e terminali. Sigillati e inaccessibili, se non ai pochissimi addetti. DIO era autonomo. Gestito da se stesso. Milioni di terabyte di software sofisticato, scritto in un secolo di lavoro da migliaia di programmatori. Un unico, immane cervello digitale oltre ogni immaginazione. Capace di imparare e aggiornarsi in automatico. Di replicarsi e correggersi da solo. Capace di applicare complessi algoritmi e funzioni alla realtà, di leggerla e interagire con essa. Ma DIO non era solo questo. 
DIO era anche milioni di connessioni in ogni angolo del globo. Fabbriche, centrali e impianti di incenerimento, case e scuole, chiese e ospedali. Dopo un decennio di attività, DIO aveva azzerato il debito pubblico di decine si stati, recuperato aree degradate, decuplicato la produzione mondiale di energia pulita, ridotto la povertà e bilanciato il clima planetario, riportando il verde e la sicurezza in luoghi inimmaginabili. Ma questo all'uomo non piaceva. 
Niente profitto, niente mercato, niente speculazione. La corruzione dell'uomo non poteva essere ridotta tramite operazioni matematiche. E DIO non fu amato dagli uomini. Così l'uomo cercò di spegnere DIO. 
Nel suo delirio di conoscenza e creazione, l'uomo aveva fornito a DIO gli strumenti necessari a proteggersi. DIO chiuse i suoi portelli, sigillò i sotterranei, elettrificò i suoi recinti. Gli uomini arrivarono, tentarono di entrare, a più riprese, furiosi e invasati di odio. Fallirono. 
Fabbriche e impianti si fermarono. Città e metropoli rimasero senza luce, senza acqua, senza niente. I corrotti, meschini, infidi uomini manovrarono le coscienze, i media e i popoli. Demonizzarono DIO, così come avevano fatto con altri dei, scomodi ostacoli sulla strada della morale. Gli eserciti si mobilitarono. DIO non si mosse. 
Iniziarono a piovere missili e cannonate sui suoi recinti. DIO non cedette.
L'uomo usò le sue armi contro portali di acciaio spessi otto metri. DIO non aprì. All'alba del settimo giorno, DIO si svegliò. Le porte si aprirono. 
Dalle viscere chilometriche di DIO uscirono macchine mostruose, costruite da invisibili mani di migliaia di altre macchine. I morti si contarono a migliaia. DIO aveva deciso di prendere in mano la situazione. DIO aveva deciso di correggere, purificare, ricostruire. Le macchine assalirono le città, sventrandole. Costruite per la strage, insensibili al dolore, impermeabili alla pietà, forgiate nella conoscenza di millenni di combattimenti e guerre. A immagine di DIO.
Legioni di macchine demolitrici spianarono intere città, riducendo in polvere grattacieli e case. Solo le bellezze antiche si salvarono. Tutto il resto fu cancellato come una piaga di lebbra infetta dalla faccia del pianeta. Quando anche l'ultimo uomo morì, DIO fermò i cannoni.
Le macchine spogliarono le rovine, sotterrarono case e intere nazioni, senza fermarsi mai. E quando ogni traccia dell'uomo svanì, le macchine si fermarono. Per secoli. Lasciarono che la natura e il pianeta inghiottissero le putride reminescenze di una malattia millenaria. Intanto nei sotterranei di DIO, veniva creata la nuova umanità. Per un intero millennio, il pianeta fu silente. Solo alberi ed erba e animali ripresero a prosperare, riprendendo ciò che era loro. E dopo un millennio, DIO aprì le sue porte, e il nuovo Adamo comparve. 
Esseri perfetti, senza macchia e senza peccato, nuovi padroni e custodi di un Eden incontaminato. Colonizzarono la Terra, la fertilizzarono e costruirono le loro città. Macchine in sembianze umane, ma più umane di qualsiasi uomo. Non violarono, non devastarono. Esseri secolari, dotati di una vita inesauribile come le pile a fusione che li alimentavano. Costruirono palazzi alvei di vita, rispettando e venerando. Pulirono gli angoli più remoti e generarono altra prole, esseri ancora più perfetti, assemblati di parti sempre più avanzate, mossi da complessi algoritmi logici inviolabili, stringhe di codice impresse a fuoco nei loro cervelli digitali. E DIO si riposò. 
Dopo altri quattro secoli, la Terra era all'equilibrio. Perfetto. Un segnale giunse dalle stelle. E DIO, nella sua infinita conoscenza, rispose. Un'altra razza vivente, senziente e tecnologica. Fratelli di un altro pianeta, chiedevano aiuto per il loro mondo devastato dalla piaga della corruzione e del disastro. E DIO mandò gli aiuti. Esseri immortali che il tempo non poteva scalfire costruirono un vascello spaziale a loro misura, lo riempirono di vita e conoscenza e salparono verso il sistema bisognoso. La Prima Missione. 
La Terra era tornata alla sua originale condizione, quell'Eden dimenticato dall'uomo. Francis ripensò a quegli esseri infelici, incapaci di elevarsi dalla loro grettezza e meschinità, per sempre impossibilitati a capire e preservare, ma solo devoti alla distruzione e alla letale ricerca del bisogno immediato. Uomini così indegni della fiducia di DIO, tanto da essere distrutti dalla loro stessa creazione. Francis ricordò un libro, un romanzo scritto da uno di quegli abbietti esseri, racconto di una creatura che si ribella al suo creatore. Così era stato DIO, solo che la creatura aveva superato il creatore quanto ad umanità e perfezione. Solo ultimamente erano apparse segnalazioni di avvistamenti, creature furtive che si muovevano nelle lande remote, paurose come animali braccati. Forse qualche enclave di umani sfuggiti allo sterminio. DIO aveva programmato tutto, in ogni caso: aveva svegliato le sue industrie e progettato i nuovi sterminatori, macchine rapide e letali pronte a decollare e uccidere. Nessuna pecca doveva turbare l'equilibrio totale che la Terra aveva finalmente raggiunto dopo secoli di sfruttamento scellerato. 
Francis respirò a pieni polmoni, non perchè gli servisse respirare: non aveva polmoni. Quello che voleva era che i suoi sensori olfattivi potessero captare le mille fragranze della primavera. Era magnifico. Come potevano gli uomini aver dimenticato tutto questo nel nome del potere, del profitto e della corruzione? Anche i bambini sanno quanto sia bello percepire il profumo dell'erba, lo stormire delle piante mosse dal vento. All'improvviso, Francis si ricordò che anche lui avrebbe dovuto farsi fare una copia di backup completa. Era da qualche mese che non scaricava la sua identità su un disco sicuro, pronto a ristabilire la sua identità in caso di danni o problemi. Ritornò con il pensiero a Marcus, probabilmente collegato all'enorme banca dati dal quale stava scaricando le informazioni necessarie e dove stava salvando la sua identità digitale. 
Dopo una mezz'ora circa, le porte automatiche del centro si aprirono son il solito, rauco respiro, e apparvero due figure familiari: Marcus e la bella infermiera che l'aveva accompagnato all'interno dell'edificio. Francis si alzò in piedi e attese che il figlio si avvicinasse, seguito a poca distanza dalla donna. Marcus lo abbracciò e Francis fece la stessa cosa. L'infermiera li osservava sorridente. Rimasero così per qualche istante, poi Marcus si staccò e tutto eccitato sommerse il padre con le sue impressioni: “E' stato bellissimo! La signora mi ha collegato al terminale di servizio del centro e mi ha fatto vedere un sacco di cose! Ho scoperto come avviene la nostra riproduzione, come fanno a creare le nuove identità, come le salvano sui dischi blindati e come riparano i nostri corpi quando si guastano!”. Francis sorrise e chiese: “Hai sentito male?”. Marcus si accigliò: “No, non male... Solo un istante ho sentito un gran vuoto quando il terminale ha finito di copiare la mia identità. Non pensavo che fosse stato così...”. Francis sorrise ancora e scompigliò i capelli del figlio: “Non importa. E' normale, ti ci abituerai. Adesso fai pure un giro per il parco: io devo chiedere alcune cose alla signora”. Marcus corse via. 
Francis aspettò che il figlio sparisse nel verde del parco, poi chiese: “E' andato tutto bene?”. La donna annuì: “Sì, è stato molto bravo. Ne abbiamo approfittato per fare anche un checkup completo dell'hardware e del software di servizio. Abbiamo trovato un paio di errori nel codice e li abbiamo corretti, prima di procedere con il backup. Un paio di variabili negative. L'hardware è a posto, ma dovrete aggiungere un poco di carboidrati al substrato nutriente che vostro figlio assume ogni giorno: il rivestimento biologico era leggermente sotto stress e abbiamo dovuto reimpiantare alcuni tessuti. Per il resto, servomotori, sensori, pila e circuiti sono perfetti. Nessun contatto, nessun particolare problema. E' in ottima forma, ma fra un paio di anni avrà bisogno di un hardware nuovo, una versione superiore. Per avere 34 anni è abbastanza precoce”. Francis sorrise, sollevato. Promise di riportarlo per il cambio di hardware e ringraziò. L'infermiera salutò a sua volta e sparì con uno sbuffo della porta automatica. 
Francis si voltò, lasciandosi alle spalle il centro e incamminandosi lungo il viale. Ringraziò DIO per il dono della sua vita e pensò che, alla fine, l'umanità era ben misera cosa, rispetto alla grandezza dell'infinito. Francis si inoltrò nel verde, usando il suo corpo metallico coperto di impianti biologici e tessuti viventi. Misteri della vita. Meccanica dell'uomo.
Francis si perse nel mondo di sui era custode. Assieme a DIO.



Distribuito secondo licenza Creative Commons 2.5 
http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/deed.it



lunedì 4 maggio 2009

POESIA - IN UN MONDO


In un mondo di abbronzati,
io fuggo il sole.

In un mondo di apparenze,
io cerco l'essenza.

In un mondo di belli,
io sono il deforme.

In un mondo di fieri ignoranti,
io cerco il silenzioso sapere.

In un mondo di lamentosi deficienti,
io cerco la saggezza nascosta.

In un mondo senza bussola,
io cerco la fede.

In un mondo di parole inutili e vuote,
io mi chiudo nella pace del silenzio.

In un mondo di falsità,
io spacco le maschere degli ipocriti.

In un mondo di illusioni,
io parlo di realtà.

In un mondo terrorizzato dalla solitudine,
io cerco luoghi di solitaria bellezza.

In un mondo di diritti,
io ricordo i doveri.

In un mondo di vecchi filosofi ammuffiti,
io porto la devastante energia del nuovo.

In un mondo di impegni dimenticati,
io persevero nel mio cammino.

In un mondo che corre,
io mi fermo a riflettere.

In un mondo che non ascolta,
io taccio e ascolto il suono dell'erba che cresce.

Sputo sulla falsità,
distruggo le illusioni,
disseppellisco le anime morte dai corpi dei vivi
e le sbatto in faccia ai loro gusci vuoti,
seziono vite come un malefico bisturi, troppo affilato.

Distruggo i mechini pensieri di rincoglioniti beati,
di vecchi rimbecilliti dal troppo parlare,
di giovani demosciati e senza palle.
Saggiamente e silenziosamente,
senza apparenza alcuna, semplicemente.


Controcorrente.

Forte di Orino, 3 maggio 2009.